Serie A, presidente minaccia i giocatori: “Se perdete vi porto in Cina” | Tutto per interessi personali
L’aut aut di un presidente di Serie A e un campionato che si sarebbe dovuto decidere a tavolino: tutto per interesse personali.
Quando sport e interessi personali, politica ed economia, s’intrecciano e s’intersecano il lato oscuro prevale sempre sulla forza di una competizione. La storia del calcio è piena di combine più o meno rese pubbliche e dimostrate con fatti tanto concreti quanto evidenti.
Negli anni ’80 la Serie A fu travolta dallo scandalo del calcioscommesse. O totonero, come fu definitivo all’epoca, che vide coinvolti un po’ tutti: giocatori, dirigenti e società di Serie A ma anche società cadette. Un modus operandi di tanti.
Le partite dei campionati attraverso scommesse clandestine che portarono inchieste e condanne da parte della FIGC per illecito sportivo. Avellino, Bologna, Lazio, Milan e Perugia in Serie A, Palermo e Taranto in B furono penalizzate, sanzionate, retrocesse. Con una eccezione.
Il Pescara fu l’unico assolto nonostante l’accusa avesse chiesto una penalizzazione. Fu uno scandalo senza precedenti, non il primo, ma certamente il più grande: Artemio Franchi, allora numero uno della Fiorentina nonché membro UEFA, si dimise.
La verità viene a galla
Uno scandalo di così grandi dimensioni non c’è più stato, nonostante il calcio ha evidenziato tanti altri casi più o meno esplosi, più o meno sanzionati. Tra questi ce n’è uno uscito fuori ad anni di distanza dalla causa scatenante. Come il clamoroso epilogo dello scudetto della Lazio del 2000. Uno scudetto conquistato dai biancocelesti in quanto la Juventus cadde sotto il diluvio di Perugia, contro una squadra salva che non aveva nulla da chiedere all’ultima giornata di Serie A.
“Negli spogliatoi provammo a metterci d’accordo con la Juve per pareggiare e loro sarebbero andati a fare lo spareggio. Ma alcuni giocatori come Davids, Zidane e Montero, non accettarono”. Così parò Alessandro Melli, che in quella stagione vestiva la maglia del Grifone umbro. Un retroscena davvero clamoroso quello raccontato al podcast “Non è più domenica”, che rivela anche altro di quel match ai limiti dell’impraticabilità, disputato al Curi il 14 maggio 2000. Alla fine terminò 1-0, un risultato che andò ben oltre la partite che la Lazio aveva vinto, ma senza esultare, almeno fino al triplice fischio del Curi. Ma c’è dell’altro.
L’aut aut presidenziale
“Noi eravamo salvi e non avevamo niente da chiedere. Ma Gaucci era legato alla Lazio e al Banco di Roma”. Riecco la forza oscura che offusca fair play e sportività. Gli interessi dell’industria calcio portano Gaucci a un aut aut nei confronti della sua squadra.
“In settimana – prosegue Melli – il presidente ci chiese di fare di tutto per vincere: ci avrebbe dato anche un premio perché voleva che la Lazio vincesse il campionato, per interessi personali”. Dall’incentivo alla minaccia il passo è breve: “Se avessimo perso – chiosa Melli – ci avrebbe portato in Cina in ritiro”. In barba alla bellezza del calcio.