“Non sono intelligenti”: il tecnico li distrugge nonostante la squalifica I Hanno già fatto dietrofront

La grande rivincita di un tecnico di grido che costringe al dietrofront dopo una squalifica che, a conti fatti, era senza senso.
Un po’ per moda, un po’ per falso mito, nel calcio moderno la figura dell’allenatore è troppo spesso andata ben oltre le sue funzioni, addirittura portata al centro di un risultato, un successo, perfino un trofeo, quando in realtà sono i giocatori che vanno in campo: segnano e sbagliano, al massimo mettono in pratica (non sempre) la visione di un allenatore, ma sono e restano loro i protagonisti.
Certo è che un tecnico vive sul crinale: un osannato e imbattibile, il giorno dopo messo in discussione, è tutto un equilibrio sopra la follia, direbbe Vasco Rossi: la sua carriera, infatti, dipende da fattori fuori dal suo controllo: tra infortuni, tensioni interne allo spogliatoio, arbitraggi che ne segnano la carriera.
Ogni allenatore reagisce a modo suo davanti a questi fattori indipendenti dalla sua volontà ma che ne determinano la carriera. Carlo Ancelotti, per esempio, è diventato uno degli allenatori più vincenti della storia, grazie al suo stile pacato e il rapporto empatico con i giocatori. Un gestore più unico che raro.
Pep Guardiola, invece, ha fatto leva sempre sull’innovazione da contrapporre al peso delle aspettative nato dopo il leggendario ciclo con il Barcellona. Le critiche al Bayern Monaco e al primo Manchester City non lo hanno mai scalfito: il catalano ha messo il gioco al di sopra di tutto.
Da Ranieri a Mourinho
Claudio Ranieri è diventato leggenda con il trionfo in Premier col Leicester campione d’Inghilterra nel 2016, anche se tutti non ricordano che dopo pochi mesi fu esonerato. È l’allenatore della resilienza delle cose semplici ma efficaci.
Per tutto il resto c’è José Mourinho, lo Special One. Un tecnico vincente, maestro della comunicazione, capace di catalizzare l’attenzione su di sé per proteggere la squadra. Ma anche lui ha sperimentato l’ingratitudine del calcio moderno, superandolo attaccando apertamente i suoi nemici. Tanti.

Una squalifica dimezzata
Si è fatto sempre riconoscere, in tutte le sue esperienze, lasciando sempre il segno. Anche in Turchia dove sta allenando con alterne fortune il Fenerbahce. Nell’ultimo derby contro il Galatasaray è stato squalificato inizialmente con quattro giornate: due per presunte per frasi razziste nei confronti della panchina avversaria, “che saltava come scimmie”, altrettante per insulti al quarto uomo. “Non sono stati intelligenti nel modo in cui mi hanno attaccato, perché non conoscevano il mio passato”. Accusare Mourinho di razzismo non è stata una grande idea.
“Non conoscono i miei legami con l’Africa, con la gente africana, con i giocatori e con le associazioni benefiche africane. Tutti sanno chi sono come persona. Tutti conoscono i miei difetti, ma questo non lo è”. Aveva ragione lui: il dietrofront è stato immediato. “Dopo dieci ore la mia squalifica è passata da quattro a due giornate – ha continuato Mou, sempre in uno stralcio di un’intervista su Sky – solo così si può comprendere la portata della cosa”. Figuriamoci se si poteva accontentare di una squalifica dimezzata. “Nel giorno della mia squalifica è diventato di dominio pubblico il fatto che il capo della Commissione Disciplinare stesse festeggiando tra amici con una maglia del Galatasaray addosso”. Mou si districa alla grande su quell’equilibrio sopra la follia.