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“10 anni di carcere per alto tradimento”: grave accusa per il ‘maestro’ di Vlahovic dopo la ‘fuga’ all’estero

Dusan Vlahovic
Dusan Vlahovic, attaccante serbo della Juventus – lapresse – IlPosticipo.it

Accuse pesantissime per il ‘maestro’ di Vlahovic dopo la sua fuga all’estero. Un gesto pagato con una condanna esemplare.

Ha perso sin da subito i connotati del gioco, in Italia e all’estero: troppi soldi, troppo potere, troppa politica attorno al calcio. Troppo spesso fenomeno sociale ed economico utilizzato come strumento di potere e manipolazione.

È la storia a tramandarci questo concept, dove il confine tra calcio e politica è troppo labile per essere ignorato. In Italia l’esempio più eclatante fu quello a ridosso della Seconda Guerra Mondiale, quando Benito Mussolini intuì che la kermesse iridata del 1934 poteva diventare una clamorosa opportunità di propaganda per il regime fascista.

Così le partite della nazionale italiana furono circondate da pressioni politiche e arbitraggi sospetti. Gli Azzurri vinsero il Mondiale, e la vittoria fu strumentalizzata dal regime per esaltare la superiorità dell’Italia fascista. Non certo un fenomeno locale, chiunque ha sfruttato il calcio per i propri tornaconti.

Uno dei casi più estremi all’alba degli anni ’70 quando il calcio fu lo spunto per esacerbare le tensioni tra El Salvador e Honduras: si fuoriuscì ben presto dal rettangolo di gioco, scoppiò una guerra vera e propria, che durò quattro giorni e causò migliaia di vittime.

Dall’Argentina alla Jugoslavia

Un altro esempio eclatante del binomio horribilis calcio e politica nel Mondiale del 1978 in Argentina, organizzato durante la dittatura militare di Jorge Videla. Anche in questo caso la vittoria dell’Albiceleste fu tramutata in arma di distrazione di massa, nascondendo le atrocità del regime.

Negli anni ’90, il calcio divenne un simbolo delle tensioni etniche che avrebbero portato alla dissoluzione della Jugoslavia. Il 13 maggio 1990, la partita tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado si trasformò in una guerriglia tra tifosi croati e serbi. L’episodio fu uno dei primi segnali del conflitto balcanico che avrebbe portato alla guerra civile.

Miodrag Belodedici
Miodrag Belodedici, icona del calcio serbo – facebook – IlPosticipo.it

Una storia nella storia

Nel 1988 Miodrag Belodedici, nota difensore della Steaua Bucarest nonché colonna nazionale, di padre serbo e madre romena, fuggì dalla Romania per andare a giocare con la Stella Rossa di Belgrado, la squadra per cui faceva il tifo. Piccolo problema: ai giocatori locali non era concesso trasferirsi all’estero, così dopo la fuga le autorità accusarono Belodedici di non aver rispettato il contratto da professionista con lo Steaua (che però non fu mai presentato).

Le ripercussioni di quell’atto, considerato sovversivo, furono tremende: squalifica di un anno, oltre che una condanna (mai scontata) a dieci anni di carcere per tradimento. Belodedici tornò a giocare nel 1989 e nella stagione successiva fece parte della squadra con cui la Stella Rossa vinse la sua prima e unica Coppa dei Campioni, cinque anni dopo averla vinta con la Steaua Bucarest. Una storia nella storia per il ‘maestro’ di Vlahovic, uno dei papà calcistici del calcio slavo, icona del popolo serbo.