“Non mi credi: ed è questo che mi ferisce”: SERIE A choc, confessione oltre i tabù I “Siamo uomini: parlarne qui non è opportuno”

Confessioni choc dentro un calcio che mostra sempre più lacune e fragilità strutturali che ledono la credibilità di tutto il movimento.
La forza e il suo lato oscuro. Spettacolo e omertà, passione e silenzi assordanti. Questo è il calcio, tra mille contraddizioni uno sport per certi versi estremo: regala emozioni ma anche delle criticità che ledono la sua credibilità ed evidenziano carenze struttura in un mondo di omertà.
Nel calcio, per esempio, pochi giocatori hanno avuto il coraggio di fare coming out o di affrontare apertamente il tema dell’omosessualità, spesso a causa della paura di ripercussioni. L’esempio più eclatante fu quello di Justin Fashanu, l’idolo della Gialappa’s Band.
In realtà un giocatore dalla enorme sensibilità, il primo a rompere il tabù della omosessualità che per anni influenzò la sua carriera, quell’omofobia che lo distrusse dentro, fino al tragico suicidio avvenuto nel 1998.
Senza drammi il coming out di Jakub Jankto. L’ex centrocampista di Udinese e Sampdoria divenne il primo giocatore di calcio a dichiararsi apertamente gay. Un momento storico per il calcio: si può rompere il silenzio e vivere la propria identità senza paura. Ma non sempre va a finire così.
Una verità da nascondere
Prima di Jankto, era il 2021, era stato Josh Cavallo, giocatore dell’Adelaide United a dichiararsi apertamente gay. La sua scelta fu corredata da un grande supporto da tifosi e colleghi, anche se ha dovuto affrontare episodi di omofobia negli stadi.
Prendete Thomas Hitzlsperger, centrocampista con un passato in Italia, nella Lazio (2010), solo al termine della sua carriera (nel 2014) ha ammesso di aver nascosto la sua sessualità durante la carriera per paura delle reazioni nel mondo del calcio.

Questione di buonafede
Tanti i tabù nel calcio, che vanno oltre omofobia e quant’altro. Nel mondo arbitrale, per esempio, c’è chi prova a porre fine a un falso storico: “Cosa ci ferisce a noi arbitri? Quando non si crede alla buonafede”. Lo ha detto davanti a tutti l’arbitro Simone Sozza della sezione di Seregno, a margine del Premio Maestrelli a Montecatini Terme.
“Per fortuna è un aspetto che sta venendo meno perché abbiamo una credibilità strutturale – dice il direttore di gara ai microfoni di Sky Sport – quando si pensa a chissà quale motivo dietro a una decisione dell’arbitro rimane un po’ di rammarico. Lavoriamo perché le partite si svolgano nella massima regolarità”.